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Welfare aziendale: c’è anche il modello italiano

Welfare aziendale PCA Broker
Welfare aziendale PCA Broker

Welfare aziendale, ma “all’italiana”

 

Il Welfare aziendale è un tema di grande interesse, anche in Italia. Ma viene considerato troppo spesso un’emanazione di modelli americani e anglosassoni. Invece anche l’Italia è una culla di tradizioni significative in questo senso ma anche differenti, perché la struttura socio-economica italiana è ben diversa da quella americana. Gli assetti sociali sono diversi e richiedono una diversa visione del welfare aziendale. Solo così sarà possibile far maturare una cultura e uno sviluppo concreto in questo senso.

ALLE RADICI DEL WELFARE AZIENDALE ITALIANO

All’origine dello sviluppo capitalista italiano c’è un modello di impresa che non è quella ipotizzata dalla concorrenza perfetta (e spietata) del libero mercato anglosassone – libero in senso economico ma anche profondamente individualista e perciò portato a svalutare la componente sociale e associativa che invece sono un caposaldo del modello italiano. E’ stato il tema al centro del convegno tenuto dal noto economista Stefano Zamagni al convegno “Wellfeel. Benessere organizzativo e welfare aziendale” organizzato a Milano il 12 e 13 giugno 2018 dalla casa editrice ESTE e capace di mettere a confronto oltre 250 imprenditori, manager e studiosi.

Vanno lette in questo senso le parole di Chiara Lupi, direttore editoriale di ESTE: «Per tanti anni abbiamo affrontato il tema esplorando vari aspetti legati alle dinamiche fiscali e agli impatti organizzativi del welfare aziendale. Wellfeel è stato progettato per superare queste tematiche e ampliare il ragionamento al benessere della persona e al significato dello star bene al lavoro». Quindi il welfare aziendale, per poter attecchire anche in Italia, ha bisogno di superare gli stereotipi in base a cui sarebbe solo una questione fiscale ed organizzativa, indipendente dal ruolo e dal valore della “persona”.

In particolare, le differenze tra impresa anglosassone e impresa italiana sono:

  • Negli USA l’impresa che fa welfare aziendale è spesso una multinazionale, mentre in Italia c’è un tessuto di medie, piccole e piccolissime imprese
  • Negli USA il focus è sui vantaggi fiscali-economici del welfare aziendale, mentre in Italia c’è una tradizione di sviluppo economico basata sull’integrazione sociale del lavoratore
  • Negli USA l’imprenditore è un capitalista che lavora per gli shareholder, mentre in Italia è diffusa la figura dell’imprenditore “civico” (da Crespi ad Olivetti) che lavora anche per gli stakeholder, mescolando interessi d’azienda e valori sociali


LA QUARTA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: LE INCOGNITE DELL’INDUSTRIA 4.0

Questo dualismo tra modello americano e modello italiano è entrato in discussione per il rapido sviluppo di modelli di crescita iper-tecnologici, come la Internet delle Cose (Internet of Things) e l’Industria 4.0, dove l’automazione dei processi lavorativi dall’uomo alle macchine sta già segnando profondi sconvolgimenti nel mercato del lavoro e nella struttura stessa delle aziende.

Cosa succederà allora al modello italiano? Cambierà completamente? Sarà sostituito da quello americano? Per sopravvivere, le aziende avranno un’unica struttura di riferimento dove il capitale, i dividendi, gli azionisti? Ma soprattutto: cosa diventerà il welfare aziendale? Anch’esso un unico modello derivato da quello americano?

I DATI SULLE AZIENDE ITALIANE: CREDONO NEL WELFARE, MA SENZA IDEE CHIARE

Un indicatore fedele di questo stato di incertezza sono i risultati del Welfare Index Pmi promosso da Generali Italia. I dati del 2018 evidenziano che il 42% delle imprese attua almeno un’iniziativa nella macro area della salute e assistenza; era il 32,2% nel 2016, mentre un terzo delle imprese considera prioritario investire nei prossimi 3-5 anni nella sanità e nell’assistenza a beneficio dei dipendenti e dei loro familiari. Le imprese che attuano misure di flessibilità sono più che raddoppiate negli ultimi due anni, passando dal 16,1% al 34,3%: prevale lo smart working, ma c’è molto altro. Soprattutto, crescono le imprese che attuano iniziative di welfare spaziando in vari campi, venendo incontro ai bisogni più diversi dei propri dipendenti: oltre il 41% delle imprese è attivo in almeno quattro delle dodici aree di welfare aziendale considerate nel rapporto. L’incertezza è questa: investire sempre di più sul welfare aziendale, ma in tanti rigagnoli diversi, col rischio di non produrre una solida diffusione del welfare nelle aziende.

Come ripete Chiara Lupi, “Alle aziende, soprattutto alle aziende piccole e medie, bisogna raccontare il potenziale che può esprimere il welfare aziendale. C’è molto bisogno di fare cultura, perché le grandi aziende hanno già implementato questi strumenti, sulle piccole aziende invece c’è ancora molto lavoro da fare”. E’ quello che sta facendo PCA BROKER con l’impegno a far conoscere i benefici a tutto campo del welfare aziendale.

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